All’arrivo, reception deserta. Nessun problema: suono il campanello, attendo qualche minuto… niente. Sono di fretta. Esco a prendere la valigia, rientro, ri-attendo… ancora nulla. A quel punto, sentendo voci dal vano scale, mi avventuro su per qualche gradino e dico: “Salve, c’è qualcuno?” Alle mie spalle, con tono accusatorio, sento dire: “C’è il campanello comunque, eh!?” Mi volto e trovo la visione di una signora da un passato di indubbio charme, ma con l’accoglienza di un cancello automatico, guasto, penso. Le spiego di aver già suonato. Lei mi guarda con la sufficienza che si riserva a chi ancora crede nel servizio clienti. Check-in completato, si entra nel mondo del 4 stelle (di cui una, per la camera 57, forse sarebbe meglio lasciarla al cielo direi). La stanza è anche decorosa, ma l’esperienza fa acqua... soprattutto sotto la doccia. Dopo la seconda notte, il flacone di shampo-doccia si avvia all’estinzione. Nessun rimpiazzo. Chiamo giù la reception ma nessuno risponde. Lo posiziono in bella vista sul lavandino, speranzoso. Dopo la terza notte, la speranza diventa disperazione: ancora niente. Rientrato da una giornata di lavoro che avrebbe stremato anche un maratoneta, mi rassegno e mi lavo con una saponetta da viaggio che porto per le emergenze. Lascio un bigliettino ironico, forse un po’ teatrale — lo ammetto, dettato dall’esasperazione — che recitava: “Dio”, come intercalare di stupore, a cui avevo aggiunto “svelto”, con l’ovvio intento di esortare l’operatore o l’operatrice alla prontezza mentale e professionale richiesta, e scontata, in un 4 stelle. Il tutto era riferito allo shampoo-doccia vuoto, sotto il quale il biglietto era stato collocato, e si concludeva con un “grazie!” Non immaginavo che questa semplice richiesta potesse scatenare una reazione degna di un consiglio di guerra. La direttrice — che solo dopo scoprirò essere la stessa dell’accoglienza, Paola (mi pare) — evidentemente fresca di qualche corso su “come aumentare l’autostima e distruggere la reputazione di un ospite in tre mosse”, anziché provvedere al disservizio e, al limite, scusarsi, decide di contattare direttamente l’azienda per cui lavoro (che in quei giorni era già sommersa da impegni organizzativi). Il messaggio? Che sarei stato arrogante e offensivo. Per inciso, ho dormito in hotel di mezzo mondo e una cosa simile non mi era mai capitata. Ora, ci tengo a chiarire: il personale di sala a colazione è stato gentile e disponibile, così come il giovane receptionist cui mi ero rivolto per un’eventuale richiesta extra. Quindi, se ho urtato qualcuno con la mia richiesta di una doccia dignitosa in un 4 stelle, me ne scuso. Ma vedere il problema passare da “mancanza di amenities” — che, per carità, la super-direttrice ha poi precisato non essere obbligatorie (e ha ragione, ho verificato) — a “offesa ai valori della struttura” è un capolavoro di creatività gestionale. Quando ho espresso di persona il mio disappunto alla direttrice, suggerendole che forse non era esat
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